Un sistema solare portatile per prevenire la mortalità di madri e neonati

Secondo dati dell’Unicef, ogni anno, nel mondo muoiono 287 mila donne per problemi legati al parto: un numero inaccettabile, se paragonato ai progressi che la scienza medica ha fatto nell’ultimo cinquantennio. Una parte delle difficoltà legate al parto nei paesi poveri è strettamente correlata alla disponibilità di energia: ma, grazie all’organizzazione no profit WE CARE, l’energia solare potrebbe essere usata per superare quest’ostacolo.
L’associazione è guidata dalla dottoressa Laura Stachel e dal marito, Hal Aronson, costruttore di sistemi solari: l’obiettivo è migliorare le condizioni di vita delle madri e le condizioni di nascita dei bambini nelle aree più difficili del mondo. A questo proposito, hanno creato un prototipo di un sistema solare portatile: progettato per i reparti di maternità, le sale parto, le sale operatorie e i laboratori.
È grande quanto una valigia e dotato di luci a Led, walkie-talkie per comunicare e sistema di ricarica: un sistema che potrebbe risolvere la gran parte dei problemi delle cliniche mediche dei paesi poveri, in particolare per quelle periferiche. Il sistema di base promette 40 o 80 watt di energia tramite pannelli solari, e una batteria al piombo da 14 Ah.
I coniugi creatori del sistema, che ha valso ad Hal Aronson l’inserimento nell’elenco Top 10 Heroes for 2013 della CNN, hanno spiegato:
Laura ha assistito a condizioni deplorevoli nelle strutture statali nigeriane, tra cui l’elettricità intermittente, cosa che può compromettere sia i parti che le cure successive. Senza una fonte affidabile di energia elettrica, le consegne di materiale si interrompono, i parti con tagli cesarei sono fatti grazie all’uso della torcia o rimandati, malati in condizioni critiche aspettano ore o giorni per le procedure di salvataggio. I risultati erano spesso tragici.
Ogni sistema energetico “da valigia” costa 1500 dollari, da sommare al doppler fetale e ai costi di invio nei paesi: al momento WE CARE cerca donazioni per inviare il nuovo impianto nelle Filippine, in Tanzania e in Nepal.

di Francesca Fiore

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